sabato 10 settembre 2016

Kobane Calling, Zerocalcare

Kobane chiama, testimone di valori sopra i quali noi occidentali amiamo favoleggiare: uguaglianza, emancipazione, democrazia, resistenza, tutte cose rimosse dalla memoria collettiva - più o meno da quando abbiamo iniziato a scordarci delle “nostre” guerre, battaglie con le quali ci identificavamo senza esitazione, che ci rappresentassero o meno, soltanto perché furono combattute su un suolo familiare.
Ma come ci è finito Calcare nel Rojava? E poi, dove si trova esattamente, questo posto? Il nostro beniamino, attraverso la filosofica vocazione della sintesi del disegno, ne svela la situazione geopolitica in un paio di vignette riassuntive; così, scopriamo che, oltre agli edifici sventrati e ai bombardamenti - che la TV tanto munificamente ci elargisce, ogni giorno che Dio manda in terra - esiste una zona strappata con le unghie e con i denti dai curdi siriani a Daesh (Isis, per gradire), suddivisa in tre cantoni; una regione autonoma, retta da un confederalismo democratico, regolato da un contratto sociale basato sulla convivenza etnico - religiosa, la partecipazione/ l'emancipazione femminile, la ridistribuzione delle ricchezze e l'ecologia.
http://www.youbookers.it/articolo/2016-09-09/Kobane-Calling-Zerrocalcare

giovedì 1 settembre 2016

Io e Mabel, Helen MacDonald

Sentii parlare di questa non-fiction, insignita del Samuel Johnson Prize e del Costa Book Award, quando ancora non si sapeva se sarebbe mai arrivata in Italia.
Dato che la speranza è l'ultima a morire, augurandomi di non dovere mettere alla prova il mio inglese, attesi; le raccomandazioni sullo stile, definito poetico e luminoso dai lettori, avevano suscitato in me grandi aspettative... che non sono state deluse!
http://www.youbookers.it/articolo/2016-05-23/Io-Mabel

Un Amore, Dino Buzzati

Una mattina di febbraio del 1960, a Milano, l'architetto Antonio Dorigo fissa un appuntamento presso la signora Ermelina per incontrare una ragazza, una giovanissima ballerina della Scala.
http://www.youbookers.it/articolo/2016-06-20/Un-Amore-Dino-Buzzati

martedì 12 aprile 2016

|| WC - pausa wc

Vi parlo di quella in cui cercavo una compagnia e disperavo: era sera, e non avevo di che leggere,
una situazione assai noiosa da affrontare. In pantofole, impreparata all'idea di ripescare, come ultima soluzione, vecchie letture arcinote, desideravo una biblioteca aperta 24 h (nonostante mi reputi un'assidua rilettrice, qualche volta non si può proprio prescindere dal bisogno di novità).
Vittima della mia scarsa lungimiranza, mi risolsi per dare una riluttante sbirciata al comodino di mia mamma; e sul mobiletto trovai...
Shanna.
Aperta parentesi: chi non conosce l'impronunciabile nome di Kathleen E. Woodiwiss e la sua notevole produzione, l'ha comunque necessariamente vista, poiché ella è ovunque.
Ricordo che tempo fa, zia e mamma prendevano in prestito i titoli di quest'autrice da nonna, ultracinica donna dal cuore di sognatrice (sognatrice di sogni ROSA), arginando come potevano i sospiri di anticipazione, e i tomi in questione erano tutti enormi, esuberanti nelle loro edizioni tascabili: si presentavano come signore in carne fasciate dentro abiti a tubino, straripanti e, invero, parecchio alettanti a vedersi.
Osservando il loro atteggiamento di soddisfazione nel passarsi quelle (che sembravano) autentiche golosità narrative provavo una forte curiosità, ma solo l'idea di chiedere in prestito un romanzo rosa a una parente mi riempiva d'imbarazzo, tanto più che non avevo assolutamente dimestichezza con quel genere!
Ed ecco che dopo tanti anni (ne erano passati parecchi da che avvenivano questi furtivi commerci sopra la mia testa) avrei finalmente scoperto il segreto che le adulte si erano tramandate, e mi sarei smarrita del loro stesso smarrimento, ritirandomi in impudiche fantasticherie lunghe cinquecento pagine, a voler arrotondare per difetto.
E così, il libro cambiò stanza.
Com'è che diceva Zio Paperone? Me misero! Me tapino!
Col senno di poi, avrei voluto continuare a ignorare il mistero che si celava dietro i maturi entusiasmi.
Chiusa parentesi.

Di cosa parla, Shanna? Boh, non lo ricordo quasi per niente: una figlia di ricco possidente terriero, o forse mercante, che va a recuperare un prigioniero da una lurida gattabuia. Perché avesse bisogno proprio di lui, non lo so più.
E com'è che prosegue?
Ah, niente di speciale... la figlia ricca del ricco latifondista schiavista (o mercante) si innamora del prigioniero, che è architetto per vocazione e inventore nei ritagli di tempo, aitante bronzo di Riace, orgoglioso, volitivo, animato dallo spirito di un santissimo demonio.
Be', insomma, un soggetto di simile indiscreto fascino non lo si lascia a fare la muffa in gabbia, e questa sembra già una motivazione ragionevole per andarselo a recuperare.
E colei che dà il nome all'opera, invece, come si presenta?
Mah, una che non si nota...
Capelli non biondi, ma color miele; e quanti sono? Una massa. Una massa ondulata.
Occhi blu, credo, o forse verdi. Ad ogni modo, se blu, erano dell'esatta sfumatura dei topazi, e se verdi, degli smeraldi, niente di meno.
Viso a cuore, labbra a petalo di rosa. O a bocciolo, com'è che si dice? Insomma, le solite labbra rosse, morbide e imbronciate.
Incarnato latteo, pelle dalla consistenza burrosa. Costituzione minuta, misure 90/60/90. Seni antigravitazionali e perfettamente convergenti, fondoschiena giottiano, gambe lunghe, sebbene la statura sia contenuta -come si conviene a una bambola – fiera, dispotica/ dolce, casta/ ardente di desiderio, ma del tipo che non si scuce mai, neanche per un bacetto, come si confà ad ogni ritegnosa dama che si rispetti; infatti occorre rubarglielo fugacemente, quando si presenta il momento propizio.
Repressa? Ma no, è solo virtuosa! E perfettamente inserita nella sua epoca e nel suo ceto sociale, aggiungerei!
Ancora non mi spiego come abbia potuto trovare così difficile immedesimarmi nella protagonista del romanzo. Chissà. Forse, perché non ero degna neanche di una sua unghia incarnita, sempre che a un essere di cotanta perfezione possano occorrere simili inconvenienti...
Devo essere arrivata a un terzo scarso del libro, prima di darmi per vinta - so essere tenace, quando voglio – ma rendendomi conto che l'illusione non si veniva a creare, nemmeno esasperando la dodicenne che ancora da qualche parte alberga dentro la mia psiche (spiacente, è già votata alla trilogia del Cavaliere d'Inverno, mia cara Kathleeeennwoohhhhsssshhhh!...), ho definitivamente abbandonato il volume.
In sostanza, ho cercato di tenere botta perché lui sembrava figo - anche se un tantino troppo sagomato, magari - ma quando, dopo centocinquanta pagine di ripetuti assalti alla verginità dell'eroina della storia, lei ancora non cedeva, mi è andato di traverso anche il più piccolo, insignificante pruritino erotico.
Come da copione, il Genio e di Bronzo e di Riace non si limita solo a desiderare la bella fanciulla, ma la brama proprio, e continuamente, con appassionata devozione, prova a sedurla, quindi lei si affanna, ansima, i suoi seni palpitano (mi sono sempre chiesta come palpiti esattamente un seno, e se anche a me, in determinati contesti, succeda), ma alla fine, invariabilmente lo respinge. Lui mica si offende. La incenerisce con lo sguardo, dall'altro capo della sua virilità sconfinata, in qualche modo conserva la dignità e se ne fa una ragione. Una tempra davvero invidiabile. A questo punto, la lettrice è talmente in fregola che, se potesse far tanto di sostituirsi alla protagonista, non solo accoglierebbe le focose avances schiudendosi come un fiore, ma probabilmente provvederebbe ad aprirsi nuovi orifizi, perché quelli omologati non le basterebbero più.
Durante lo svolgimento di uno di questi scenari angosciosi e inverosimili, mentre assistevo a un oltraggiato Maschio Alpha che lampeggiava sguardi stravolti alla sua amata, come un cavallo a cui qualcuno abbia vibrato una sonora frustata sul culo, sentivo montare, spettrali, da qualche corridoio della coscienza, i violenti cori da stadio che sarebbero insorti in un contesto più usuale, francesismi tipo: [CENSORED] e, comprensibilmente, mi sono stonata.
Dev'essere stato allora che, frustrata, inappagata, ho rinunciato all'impresa.
Insomma, non aspettatevi che qualcuna delle basse pulsioni che l'essere umano nella sua quotidianità sperimenta turbi l'incanto di questa fiaba, no, non in Shanna, in questo lungo, lunghissimo universo storico, dove soltanto virtù e amore puro collimano nell'estasi!
Eh.
Altro che avventure e fantasie impudiche.
Chissà se Shanna, alla fine, cede alla tentazione. Ogni tanto, me lo domando...

L'esperienza insegna che: anche alle notti più buie si può sopravvivere, basta tenersi alla larga dai comodini degli altri.



martedì 22 marzo 2016

Orange come: “Ti porterò le arance in carcere”

ALT! Considerazioni di una che s'è già macinata tutte e tre le stagioni. Quindi, se non volete rivelazioni scomode, sciò. Via. Ci si rivede al prossimo articolo.

Cosa dire di questa serie? Che l'ho amata alla follia. La prima stagione l'ho cerimoniosamente seguita in tv, appollaiata su una sedia della cucina, al lume della cappa. E di grazia che mandassero in onda non una, ma due puntate alla volta. In ogni caso, la fine del secondo episodio mi lasciava sempre di umore assatanato per il resto della settimana, non c'era modo di evitarlo.
E poi arrivò Netflix. Anziché piombare immediatamente sulla seconda stagione, godendo come un riccio, come sarebbe stato logico, mi ripassai tutta la prima dal principio, pregustando quella liaison fra tredicesima puntata della prima stagione e prima della seconda che il palinsesto crudele di Rai4 mi aveva negato.

L'intera trama e ogni singolo personaggio mi hanno colpita, ma cosa ho trovato di particolarmente originale?

L'inettitudine del maschio.
Ogni singolo uomo di Orange incarna la vigliaccheria, il fallimento, l'assenza.
I padri rinnegano i figli, come si vede nei casi di Piper e di Boo, oppure li maltrattano, li fuorviano... o ancora, scappano dalla famiglia, come il buon Bennett.
L'unico padre che vorrebbe assumersi le sue responsabilità, il secondino “Pornobaffo”, oltre che finire a sua volta in carcere, è potenzialmente squilibrato.
I mariti, quando non si umiliano davanti alle mogli, come Healy, o Caputo, le picchiano.
L'unico uomo coraggioso e degno di stima si trasforma sessualmente in donna: naturalmente, mi riferisco a Sophia.

L'involuzione
di Piper, per la quale inizialmente provavo una simpatia incondizionata, poiché si sforzava, seppur fra innumerevoli passi falsi (anche un po' da babbea, diciamocelo), di essere una persona decente. Sempre più insicura, non diventa certo umile; piuttosto, superba.
Mentre le sue certezze vanno sgretolandosi (la comprensione dei genitori, l'affetto incondizionato del padre, la fedeltà di Larry e dell'amica Polly, i suoi progetti, i suoi valori) e un'aggressività latente emerge, un'energia tutto sommato buona, ma da gestire (per evitare i parossismi che le fanno picchiare Doggett – quasi - a morte), Piper non si fa più genuina, come ci si aspetterebbe dal suo personaggio, così candido all'apparenza, ma anzi, impara a farsi strada tra sotterfugi e compromessi sempre più intricati, peggiorando velocemente la sua situazione (e perdendo la morale), in un modo che non si può giustificare del tutto con l'ambiente soffocante e le ingiustizie del carcere.
La parabola discendente di Piper accelera quando decide di far rinchiudere di nuovo Alex, che poi scarica per Stella, che a sua volta tradisce per vendicarsi di un furto da lei subito. Una serie di scelte all'apparenza macchinose, ma dettate soprattutto dallo stomaco, e che la assegnano definitivamente all'orgoglio.
Forse, la trasformazione di Piper impressiona tanto perché, se paragonata alle vicende umane delle compagne di carcere, che, al contrario, da presenze quasi esclusivamente ostili sembrano infine addolcirsi, sembra fare di lei un mostro.
In realtà, se volessimo cogliere la sua esperienza in un'ottica più ampia, potremmo intuire solo l'inizio di un percorso, cominciato comunque con il piede sbagliato, secondo principi erronei, ma indiscutibilmente umani.
Tradita e abbandonata persino dalla compagna Alex durante il processo, Piper, accusando uno shock dopo l'altro (si considerino i 18 mesi di detenzione come periodo), impara a contare solo sulle proprie risorse, quindi, a credere principalmente in se stessa.
La sua debolezza più grande, è l'impossibilità di rimanere single. Più volte si ritrova scaricata, anche quando crede di avere un'alternativa (Alex, Larry/ Alex, Stella).

Lo so, mi sono contraddetta. Prima dico che Piper trasformata nell'arco di pochi mesi in boss mafioso senza scrupoli è inverosimile, poi che è giustificabile. Forse dovrei riguardare l'intera serie da capo, per schiarirmi le idee!
Ho cercato di dilazionare sempre più la visione degli episodi per evitare l'ineluttabile: cioè, che finissero; ma ora che ho l'animo in pace, potrei serenamente rituffarmi nell'adorabile mondo a sbarre.
O magari, potrei mettere mano alla biografia di Piper Kerman, immediatamente acquistata, non appena ne ho scoperta l'esistenza.
Scelte come questa, mi deliziano. :3
Chissà se anche il libro si chiude con l'immagine stridente di una Piper sola, intenta ad autocelebrarsi con un tatuaggio del simbolo ∞ mentre Alex, la sua Alex va incontro al tragico destino che aveva sempre temuto (forse), e fuori le detenute rubano un magico momento di libertà, ritrovando chi l'amicizia, chi l'amore.