Attraverso la penna del nipote Girino,
all'impresa con un'opera teatrale sulla vita della zia, le
straordinarie peripezie dell'ostetrica Wan Xin, la quale, da dea
della fertilità della zona a nord- est di Gaomi, villaggio della
Cina rurale, diviene l'inflessibile esecutrice della politica del
Partito, che durante il boom demografico predispone un severissimo
controllo delle nascite.
Ingaggiando una tenace lotta a colpi di
propaganda e cacce all'uomo ( in questo caso, alla gestante) negli
stessi territori che, dapprima, l'avevano venerata per la sua
sapienza e le sue mani ferme, Wan Xin finisce, in breve,
coll'attirare su di sé il rifiuto e il disprezzo dei villani, dai
quali viene poi tacciata alla stregua di demone, portatore di
sterilità e aborto.
Una storia che parla della maternità:
come solo, apprezzabile valore delle giovani contadine; come meta da
perseguire per potersi realizzare in quanto donne; come eredità per
famiglie e padri il cui unico patrimonio è tramandare la terra che
coltivano, nonché come garanzia per poter ottenere almeno la
discendenza del proprio nome; maternità come tradizione; come frutto
delle stagioni, prodotto di cicli di abbondanza e carestie; come
strumento politico, ma soprattutto, maternità come pulsione e
desiderio di diventare ed essere madre.
Il romanzo si apre dipingendo l'intimo
ritratto di una campagna cinese vasta, storica, sulla quale le epoche
s'avvicendano plasmando la
mentalità, il linguaggio, lo stile di vita, la fede degli uomini che
la abitano; e la sua storicità viene sia contenuta che riflessa
nelle vicende di un villaggio, poi di una famiglia, infine, nel punto
di vista di due outsider, Girino e Wan Xin. Man mano che i personaggi
si lasciano alle spalle giovinezza e luoghi d'origine, la narrazione diventa sempre più drammatica, i toni sempre più teatrali, e ne spicca la natura
contrastante, fatta di modernità commista a strascichi di tradizione, che
pesano come una paranoia, come un mito divorante, risultando, in ultima analisi, assai
lontani dall'antica saggezza buddhista, qui impersonata soltanto
dall'artista Hao Dashou, marito di Wan Xin, figura silente, dalla
saggezza misteriosa. Un totem, in realtà, che prima trae in salvo
Wan Xin dal soccombere ai sensi di colpa e alla solitudine, poi la
ricongiunge alle anime dei bambini mai nati, e, di conseguenza, a se
stessa, attraverso la creazione delle loro statue.
In questo romanzo, inestricabilmente in
relazione fra loro, verità e leggenda, vergogna e sublime,
corrispondenza e copione, senso di colpa ed espiazione, Girino e la
zia.
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